Vi sono raccolte le testimonianze archeologiche del Colle di Bonaria. Frequentato nel prenuragico e noto ai fenici, il colle ospitò una necropoli tardo-punica e romana. Le tombe cristiane si dislocarono nella parte più alta (dove ora è situato il Santuario ed il Convento dei Mercedari) e lungo le pendici.
La presenza dei Mercedari in Sardegna, attestata dagli inizi del 1300, è legata non solo all’opera di liberazione degli schiavi catturati dai musulmani (l’ultima redenzione ad opera dei Mercedari di Bonaria, risale al 1803, in favore di centinaia di Carlofortini, dopo quindici anni di schiavitù), ma anche nel più vasto campo della cultura e della pastorale: i mercedari Gaspare Prieto e Ambrogio Machin, rispettivamente uno viceré di Sardegna e l’altro arcivescovo di Cagliari e rettore dell’Università, portarono gli Stamenti Sardi a fare il giuramento di professare e difendere sempre l’Immacolata Concezione di Maria (7 marzo 1632).
Per questo nella prima sala ci sono le testimonianze di una presenza mercedaria che si è snodata per diversi secoli e di cui restano ancora visibili le tracce: la fondazione, le persone illustri, il lavoro di redenzione, la ricerca dei soldi per la liberazione degli schiavi, il ringraziamento degli schiavi liberati.
Ci sono degli oggetti singolari che riguardano proprio gli schiavi affrancati: alcune uova di struzzo offerte da cristiani sfuggiti all’oppressione e lasciate come segno di una vita nuova che inizia; la scapola di bue che lo schiavo fuggitivo ha usato come remo di fortuna per poter percorrere il mare in direzione della libertà; le catene della prigionia che ormai non serrano più polsi e piedi di chi è ormai libero in tutti i sensi.